Descrizione
RECUPERI DEI MATERIALI VOTIVI
Nell'agro tra i Comuni di Lanuvio e Genzano (RM) in località Pantanacci, insiste un esteso costone tufaceo al cui interno si cela una cavità naturale. L'antro veniva utilizzato in antico come deposito per le offerte a Giunone, la divinità alla quale la devozione popolare del luogo attribuiva poteri e facoltà taumaturgiche, specie nei riti propiziatori per la fertilità. Il sito sembra essere collegato, attraverso una fitta rete di spelonche e cunicoli, al vicino santuario dedicato alla dea. Pantanacci è il teatro di un'attività repressiva posta in essere dalla Guardia di Finanza, in particolare dai militari del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico, nel corso della primavera del 2012 e conclusasi con il fermo, nel luglio dello stesso anno, di 4 "tombaroli" sorpresi nella flagranza di uno scavo clandestino. Il sodalizio era intento nella profanazione della stipe contenuta all'interno della cavità, attraverso il saccheggio e la decontestualizzazione di pregiatissimi ex voto in terracotta, statue a grandezza naturale, raffigurazioni anatomiche del corpo umano, numerosissimi altri manufatti che i fedeli alla dea Giunone avevano offerto in una fase storica che va dal IV al II secolo a.C., per implorare la protezione della propria salute. Il donario, infatti, come poi confermeranno gli archeologi intervenuti nella fase scientifica del rinvenimento, era legato alla sanatio, ovvero alla guarigione da patologie. La stipe, che si presentava i acqua, era sconosciuta ai mappali della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio; mai, quindi, in precedenza censita e la sua scoperta può certo definirsi epocale, grazie anche alle straordinarie testimonianze storico-artistiche che ha restituito e che attestano l'esistenza in loco di un'officina di materiale fittile di particolare pregio seppur nella serialità di certi prodotti, come è tipico nel repertorio degli ex voto. Le opere erano in procinto di essere trasferite in territorio estero, disperse quindi nei canali del collezionismo internazionale, alimentato ogni anno anche da furti perpetrati da siti archeologici del nostro Paese. L'intervento delle Fiamme Gialle ha scongiurato il rischio della loro dispersione, garantendo la restituzione alla fruizione pubblica e museale di oltre mille reperti appartenenti ad una facies straordinaria della nostra storia.
PANTANACCI: LA GROTTA DEL SERPENTE
Il sito archeologico in località Pantanacci si trova nel tessuto boschivo dell'antico Ager Lanuvinus, non lontano dal celebre santuario di Giunone Sospita. Si identifica come una stipe votiva collocata in un antro naturale, interessato già in antico da interventi antropici. Il costone roccioso accoglie diverse cavità consecutive e probabilmente comunicanti, dalle cui pareti tutt'oggi filtrano acque attraverso aperture nella roccia. Plausibilmente si riteneva che queste acque avessero proprietà terapeutiche e salutari, favorendo lo sviluppo di un culto di divinità ad esse connesso. Gli oggetti donati appartengono a tipologie differenti, con una cronologia prevalentemente orientata al IV - III secolo a.C. Per quanto concerne il vasellame, sono presenti prevalentemente ceramiche ad impasto (soprattutto olle) e ceramica a vernice nera (tra cui figurano esemplari miniaturistici e pezzi sovradipinti). Riguardo i votivi anatomici, invece, sono stati riportati alla luce modelli raffiguranti mani, piedi, gambe, braccia, figurine intere (maschili, femminili e di infanti fasciati), busti con intestino, vesciche, mammelle, uteri, falli, vulve, orecchie, mascherine con occhi, teste maschili e femminili e soprattutto un'inedita tipologia di cavi orali. L'azione cultuale prevedeva anche offerte di cibi e bevande alla divinità, di cui sono stati rinvenuti i resti di combustione. Dalle tracce di bruciato è possibile identificare più azioni di deposito ripetute e ravvicinate, connesse a fuochi: essi dovevano sviluppare una fiamma viva a diretto contatto della parete rocciosa, che per l'elevata temperatura ha assunto una tipica colorazione rossastra sotto le evidenti tracce di bruciato. Residui di carbone sono stati inoltre rinvenuti su pietre piatte e tegole, che offrivano appoggio ai recipienti rovesciati, probabilmente simili a clibani, utilizzati per bruciare le offerte. Sono state altresì rinvenute tracce di alimenti quali piselli, nocciole, gusci di molluschi ed ossa di avicoli e ovini. I punti di deposizione primaria sono distribuiti lungo le pareti dell'antro, in vicinanza di grandi lastre di peperino che sembrano offrire un piano di calpestio, affiancato ai punti dove è presente il naturale appoggio roccioso, che si ritiene fosse servito da una passerella lignea per agevolare il camminamento. Il centro della grotta non presentava concentrazioni di votivi tali da far pensare a punti di deposizione ed era caratterizzato da un fondo roccioso coperto da uno strato di argilla finissima: si può ipotizzare che questa zona fosse già in antico punto di raccolta della acque con valenza sacrale, il cui livello sarebbe stato mantenuto sotto controllo grazie ad un sistema di chiuse in pietra, di cui è stato rinvenuto un elemento.