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Comune di Lanuvio

Ancora sulle origini di Lanuvio

Non abbiamo documenti storici sulla fondazione di Lanuvio, ma solo qualche reperto archeologico, da cui si deduce l’esistenza di un nucleo abitato fin dal Mille a.C. (cfr. Lanuvio, di A. Galieti).
Effettivamente, la collina, sulla cui cima fu fondata Lanuvium, che si erge maestosa e si proietta come un promontorio a più di trecento metri sul mare nella piana ondulata sottostante, dovette essere un sicuro rifugio e baluardo contro eventuali rapinatori, per i pastori e gli agricoltori della zona; i resti imponenti della “poderosa cinta di mura”, risalente al V sec. a.C.  lo dimostrano.

Col passare dei secoli, Lanuvium divenne un centro importantissimo e prestigioso, specialmente per la presenza in esso del famosissimo tempio di Giunone Sospita (o Sispita), venerata da tutti i popoli circonvicini con frequenti pellegrinaggi e copiose offerte.
In seguito, anche Roma, divenuta potenza egemone nel Lazio, ne divenne devota e ne pretese la compartecipazione agli utili.
 
Era usanza, nell’antichità, far risalire la propria origine ad un eroe mitico famoso, che desse onore e prestigio. Così il popolo romano fece risalire le proprie origini al mitico Enea, eroe dell’Iliade di Omero, dalla cui stirpe sarebbero nati Romolo e Remo, fondatori di Roma.
Tutte le città del bacino mediterraneo, dove prosperò la civiltà greco-romana, ebbero il loro eroe eponimo. La fonte era, per quasi tutte le città, i poemi omerici, con la loro colluvie di eroi.
 
Per Lanuvio fu trovato nientemeno che Diomede, come ci attesta Appiano il quale, nel II sec. d.C., scrisse in Greco una “Storia Romana”.
Sappiamo, da altre fonti storiche, che moltissime città dell’area italica si attribuirono l’onore di avere per mitico fondatore Diomede, figlio di Tideo e re di Argo. Secondo il Galieti, “questo racconto dipende… dalla somiglianza… tra la Giunone argiva, divinità tutelare di Argo, e Giunone Sospita, la dea protettrice di Lanuvio, ambedue vestite di nebride ed armate di scudo e di lancia, quando venne di moda vantare una qualche parentela con i Greci”.
 
Ma nel 1974 fu scoperta a Taormina, in Sicilia, un’epigrafe che riporta una frase dello scrittore romano Quinto Fabio Pittore, il quale per primo scrisse una “Storia di Roma” in Greco (per i Greci) intorno al 200 a.C. Vi si dice che “quando Enea partì dalla Sicilia per venire nel Lazio, un certo Lanoios, siculo, si unì a lui”.
La parola “Lanoios “, tradotta in Latino, avrebbe dato “Lanuvium “, perché, come sappiamo, il Greco di epoca storica non aveva la V, ma il Greco arcaico sì e si scriveva come la nostra effe in stampatello F, chiamata “digamma”, cioè doppio gamma (r), uno sull’altro. Perciò l’originale arcaico della parola “Lanoios” era questo: “LANOFIOS”, in Latino “Lanuvium “.
 
Dunque, questa leggenda farebbe risalire la fondazione di Lanuvio a questo mitìco Lanoios, compagno di Enea, inserendo così Lanuvio nell’ epopea di Enea stesso. È probabile che Appiano, vissuto nel II sec. d.C., non conoscesse questa leggenda, dato che ai suoi tempi l’opera di Q. Fabio Pittore ormai non esisteva più.
La scoperta dell’ epigrafe di Taormina ci ha, dunque, restituito una preziosa reliquia di quella che fu la prima opera che narrava la storia di Roma, anche se scritta in Greco, purtroppo presto perduta; ma ad essa attinsero sia Virgilio sia Livio.
Al di là della mitologia fantastica e immaginosa, dobbiamo ammettere che verosimilmente la parola ‘Lanuvio’ derivi dalla radice latina ‘lana’, in relazione all’abbondanza della produzione di lana dell’agro lanuvino, come a dire: un diluvio di lana.

Noi, però, eredi della cultura e degli ideali dei nostri antenati, non vogliamo ripudiare in blocco le leggende da essi elaborate, nella persuasione che la grandezza e il prestigio degli eroi eponimi riflettono la grandezza, il prestigio e l’importanza storica del popolo che li ha adottati: quanto più grande era la fama e la gloria di un eroe, tanto più doveva essere quella del popolo che da lui vantava la propria origine. Perciò è d’obbligo conoscere tutto ciò che la mitologia narra a proposito del grande Diomede.
Era figlio di Tideo, re di Argo.
Fu educato, insieme ad Achille, dal centauro Chirone.
Partecipò alla spedizione contro Tebe, ma la sua fama è legata alla guerra di Troia, in cui fu il guerriero greco più forte, dopo Achille. Sempre il primo in battaglia, gli riuscì perfino di ferire Ares, il dio della guerra.
Compì le sue imprese spesso in coppia con Ulisse, come quando rapì, dalla rocca di Troia, il Palladio, la sacra statua della dea Atena: fatto importantissimo per la vittoria finale dei Greci, in quanto, secondo l’oracolo, finché il Palladio fosse rimasto al suo posto, Troia non sarebbe caduta; come quando, sempre in compagnia di Ulisse, penetrò nottetempo nel campo dei Traci e rubò i cavalli del re Reso, ucciso da Diomede stesso nel sonno; infatti un oracolo prediceva che Troia non sarebbe caduta finché i cavalli di Reso avessero bevuto l’acqua del fiume Xanto e brucato l’erba di Troia; o come quando staccò, con un fendente, la testa del gradasso Dolone, rotolata a terra, mentre ancora parlava.
Caduta Troia e tornato ad Argo, trovò che la moglie gli era stata infedele. Deluso e sconsolato, partì in cerca di una nuova patria. Giunto in Apulia, aiutò il re Dauno nella guerra contro i suoi nemici e ne ricevette in dono, come moglie, la figlia Enippe. Morto Dauno, divenne re dei Dauni.
Molte città si attribuirono l’onore di essere state fondate da Diomede. Nell’antichità fu onorato come un dio e gli furono tributate forme di culto, come sacrifici e processioni.